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Non so perché mi viene in mente come non so perché stamattina mi sono alzata lavandomi il viso canticchiando non c’è più niente da fare è stato bello sognare, una canzonetta squallida che non credo di aver mai ascoltato o voluto ascoltare in vita mia ma neanche in quei programmi di inizio estate nei quali non sapendo che cazzo trasmettere replicano le gemelle kesler o un giovanissimo vianello o quegli sketch che non mi fanno ridere neanche dopo un doppio shottino di walter chiari o una prepubescente orietta berti, che me lo cantasse il mi babbo mentre ero nella culla prima dei tre anni e nel sonno ci si ricordi anche del gusto della voglia di cetrioli della mamma immersi nella placenta? perché mica la mia mamma aveva voglia di fragole, siamo particolari, noi. Per dirvi, ho dovuto telefonare al mondo, che per me è composto da mamma-babbo-sorella-etuttelevitechefioriscononeilibricheleggo, per rintracciare che si trattava di bobby solo. e a me veniva in mente solo little tony. ma solo perché imitava elvis. che mangiava il bacon sulle banane. e questo me lo ha insegnato la parodi. per dirvi. e poi questa pubblicità che denigra il passato (michelangelo!) per pensare al futuro ma quale futuro, tutti dicono vai avanti, o ancora peggio, il qui ed ora. l’energia. e infatti l’enel va di porta in porta e mi suona il campanello mentre mi sparo in vena confezione famiglia di pandistelle ma mica nature, appiccicati due a due in uno il burro nell’altro nutella, e zac, il sandwich, avrò tempo per l’enel? abbasso la televisione perché se no quelli capiscono che sono in casa, capirai, sono in casa da stamattina, sono in casa da una vita. Mi assento solo per ritirare le pasticchine che non mi fanno venire i tremori alle mani, ché poi mi casca la sigaretta dalle dita e un conto è ricomprare un pigiama, un altro è rattoppare la finta pelle nera del divano. Insomma facciamo finta che non ci sono più, che scrivo a penna e che non c’è dubbio che i miei post it saranno una roba postuma, tra poco si avvicina una data, che non è pasqua ed è più solenne, nella mia presunzione, e nella tua indifferenza, quel rumorino grottesco e felice che fece finalmente stack e che mise inizio e contemporaneamente fine a un’era, che ho così assicurato di poter odiare per sempre, e che l’unica ricompensa fu una bustina di Polase. Ciao mamma ciao babbo vergognatevi pure e abbiate quella misericordia che io non dispenso all’elemosinare di sigarette alla stazione, per cui il mio disprezzo verso il mondobruttoecattivo si rivela fasullo nella voce mozzata e nell’assidua domanda mi stai ascoltando? sonoduemesichenonparlooracheparlodoveguardi? se racconto che ho ho ascoltato il monologo di quello senza una gamba che nell’insinuarsi del giorno nell’orrore della notte declama di aver pianto quando si è svegliato in ospedale una mattina senza un arto, quella mattina ha pianto fino a screziare l’acciaio inossidabile della barella, ed è stata l’ultima volta che ha pianto in vita sua. (Oh, Franzen, che non ti conoscevo e che mi sono letta la tua opera omnia in due giorni, sappi che potrei rimettere in discussione tutto per te ;))

Non siamo un ICloud

Forse è perché mi sveglio a quest’ora, eccessivamente ossessionata dall’intervallo temporale che distorce il tempo e la sincro dei nostri umori, tu sei triste, io sono contenta, tu sei contento, io sono disperata, tu ti senti un leone io un lombrico e se ti parlo di lombricità alle 13.30 e tu mi parli di leoni la tua ferinità m’intorpidirà d’indifferenza o addirittura d’irritazione mentre quando io ti vorrò convogliare nella felicità tu mi smorzerai scoppiandomi a piangere all’improvviso. Senza che io sia pronta. Senza che io sia sensibile, comprensiva, paziente, disponibile. Ma chi vede le emozioni invisibili, i fatti non registrati da qualcuno che ci guarda senza metterci del suo, senza implicare se stesso, si possono forse scorgere le luci degli appartamenti di fronte, e pensare che a una certa ora si comportino come ora, noi. Ma non si suppone altre versioni. Chi riesce a vedere l’amore, più evanescente ancora di qualsiasi nostro fantasma, l’opposto di un rintocco di una puntuale campana, o addirittura catturarlo, chi siete, voi, per dirmi che non so cos’è l’amore? Sono stata una bambina precoce, ho imparato a far finta di suicidarmi a otto anni.

Raccontami il tuo natale

Eh sì lo so che non scrivo, sto diventando anch’io una di quelle persone a cui il natale fa tristezza, e sapete qual è la cosa che più fa tristezza, è che ti fa ancora più tristezza proprio quando arriva il momento in cui potrebbe cominciare anche a piacerti il natale, ma è troppo tardi. Insomma, era una barba, tutti quei parenti, l’albero di natale bianco finto, l’odore di brodo di carne dalle 8 di mattina, la frutta secca nascosta sempre troppo in alto anche per le mie scarpette rosse lucide col tacchetto, tutti quei canditi da estrapolare, tutte quelle ore interminabili sul divano a testa in giù perché era l’unico modo che avevi trovato per sentirti male e avere il permesso di uscire dalla sala da pranzo e sentirti ancora peggio davanti a un pessimo film, tutte quelle buste coi soldi per il gelato (a’nonna! siamo a dicembre!) per rimediare alla fatica di andarti in centro a comprare la sbrodolina. Questo ero piccola. E comunque il natale mi sembrava ancora una festa grande, una gran rottura da aspettare, se non altro. Crescendo tutto si è rimpicciolito intorno a me. Perfino le fette di pandoro, non vi sembra, si mangiano in due bocconi. Ora che mi piacerebbe sfornare biscotti, dolcetti, bavaresi, incartare e impacchettare cicciobelli per qualcuno che amo, non solo si è fatto il vuoto intorno a me: sono praticamente tutti morti, e ho passato tutti questi anni a brindare invece che a piangerli, ma non mi sono neanche comportata così tanto bene perché qualcuno venga a cantare alla mia porta. Ho perso la fede in babbo natale tanto tempo fa anche se potrei convertirmi a santa claus visto che sono così depressa che non ho la forza di spostarmi sul digitale e c’è un tormentone sui canali nazionali in questi giorni, però ho la strana sensazione che stiano apparendo lentamente e sospettosamente sotto il mio alberello stentoreo insieme alle mie valigie di nomade anche una serie di apparecchi semi elettronici e digitali per tenere saldi i ponti dei denti e cominciare a tenere sotto controllo la pressione arteriosa. Felice Natale a tutti!

Hai detto castagnaccio?!

Ma se ti dico che sto andando a fare la doccia non mi arrivare a casa venti minuti prima che c’ho i capelli che sanno d’aceto, mi devo asciugare vestire fare le ciglia coprire i brufoli scrocchiare le mandibole spalmare il cerone e sono così pesta dopo una flebo di antidepressivo come neanche ai bei tempi andati dei cocktail-party svaccata con le patacche di pollo fritto sulle poltroncine di mcdonald, dare il mocio ché è tutto allagato levare i capelli dal tubo prima di cominciare a raccontarti che è una giornata di merda. Ah lo è anche per te. Ecco perché sei venuto da me. Dai, fammi restare altri dieci minuti qui accoccolato con te a dormire, mentre te sei di là a fare il castagnaccio, ti giuro che non ti disturbo. Nooooo mi devo concentrare lo sai che è il mio cavallo di battaglia nonché l’unica cosa che sforno da settembre a febbraio, metti che mi stai lì a deprimerti e io sto lì col palletico alla gamba destra a guardare il forno immobile con l’occhio psicotico ché tanto non deve cresce sta torta, e non avevi detto che te ne andavi alle tre? sì infatti sono le 3.01 non me ne posso andare. Ma rimettiamo insieme i pezzi, oggi diciamo che sono allegra, uno perché mi ha chiamato la mia sorella che erano più di tre mesi (meno due mesi e mezzo dai) e mi ha detto che secondo lei questo nuovo farmaco è veramente OK mi sente alla grande (qui applausi, si vede che ha intercettato un’altra telefonata di una che ha appena vinto al lotto perché io non mi sono sentita mai così a terra in vita mia) e poi si diramano in fretta le voci che sono ufficialmente una Bloggallina! Eccheè una Bloggallina??? una bloggallina è la cosa più fantastica a cui una foodpornografa come me può aspirare! Cioè, io prima di mangiare guardavo le figure. E sbavavo. Poi ho iniziato a leggere, e so simpatiche ste foodbloggher, e aspè, so pure delle gran scrittrici, dietro ogni ricetta si nasconde una storia, un profumo, un ricordo, una casa, una famiglia, delle persone vere (eccheccazzo io c’ho paura delle persone vere!!), dei sorrisi (ultimo, tre minuti fa), delle lacrime (ultime, ’88), una dolcezza, spesso una saggezza, del sarcasmo da pisciarsi nei jeans (non me la metto la gonna e gli stivaloni di pelle dai tempi di sfascia-il-mio-libro), ma mettiamoci anche qualche solitudine e qualche gran casino tutto da strapazzare, io che la so lunga di digiuni, di fame da raccattare i calcinacci dai cantieri e leccarseli di nascosto dietro il primo cassonetto svoltato l’angolo, non posso che apprezzare ogni singola briciola, voi siete i miei piccoli pirottini d’amore da scartare sotto l’albero questo dicembre di traslochi e trasfusioni, oggi mi faccio sbattere da un frullatore, e se anche mi sono già messa a posto con una buona metà della dose raccomandata giornaliera di filosofia delle vampate vi dedico ogni singolo pinolo della mia torta sgonfia e vi perdono se non gradirete lo gnucco.

Il castagnaccio

400gr farina di castagne o marroni

500ml acqua

100gr uvetta

50gr pinoli

50gr gherigli di noci

scorzette di arancia fresca non trattata

1 giro olio evo + poco per la teglia

2 rametti di rosmarino (ramerino)

1 pizzico di sale

 

Ammollare l’uvetta in acqua tiepida, tagliare le scorzette a striscioline fini e sgranare i rametti di ramerino, scolare l’uvetta, spezzare in modo grossolano i gherigli, poi mescolare tutto insieme tranne ramerino pinoli e noci che butterete sparsi in modo armonioso ma non troppo sopra prima di infilarlo a forno già caldo io lo metto a 180 fin quando vengono le crepe, questa è l’unica torta che so fare quindi dite che è buona anche se vi fa schifo ok

Io vi devo la vita (e un pranzo)

Ma io me ne tiro fuori, per un giorno almeno di tregua e respiro libero, e bombardo con la leggerezza delle palline di natale le barricate di sacchi e cumuli di violenza morale e amore di cui mi sono appesantita. Salta fuori che se girano belle voci che io sono la psicopatica del villaggio. Ebbene. Come dargli torto, del resto, anche cliccare sui tasti dolenti delle persone è un mestiere antico, tanto quello più antico del mondo. Però. Ho questo dono e predisposizione a un’arte maledetta e incompresa e sottopagata che quando mi dedico completamente a prendermi cura di una persona, per me è una missione. Comunque, la paura più immensa, scandalosa, la voragine più minacciosa da cui tenersi bene alla larga, è quella di essere felice. (Ok bene finiti i cinque minuti di terapia aggratis voglio fare un ringraziamento particolare pubblico generale e sentito e sentimentale a una paccotta di foodbloogger x x x x x x x  –e t cetc- che oltre a farmi tornare l’appetito in questi giorni burrascosi mi hanno fatta anche tanto sognare, pensare, sorridere, o ridere di vero gusto. Brave, ragazze!)